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C. 16/05/2006 n. 4

3. E’ stato cioè implicitamente definito un ulteriore criterio di qualificazione di carattere “localizzativo” come linea guida per la perimetrazione della unità immobiliare.

4. Un esempio particolarmente significativo è costituito dalla massima richiamata nell’appendice A dell’Istruzione II – Massime relative alla Individuazione delle Unità Immobiliari – che, al titolo “Costruzioni ferroviarie”, prevede che si accertino, come unica unità immobiliare, l’insieme degli immobili ferroviari costituenti ciascuna stazione. In particolare, la stessa previsione fa rientrare nella nozione di stazione una serie di altri beni6, purché siano interni al “recinto” della stazione medesima e situati nel tratto limitato dagli scambi estremi della stazione7.

5. Al riguardo è opportuno evidenziare come le linee guida, fornite nel massimario allegato alla citata Istruzione II, fossero da correlare alla constatazione del carattere prevalentemente strumentale dei beni immobili in parola, sebbene gli stessi presentassero destinazioni non strettamente omogenee con le infrastrutture destinate al trasporto pubblico. 6 Ad esempio fabbricati viaggiatori, locali adibiti ad uffici, alloggi, dormitori, ristoranti, caffè, rivendite di giornali, tabacchi e bar, locali del dopolavoro, magazzini merci, piani caricatori, cabine, fabbricati isolati per l’alloggio, ecc.. 7 In modo similare, nella stessa Appendice A, con riferimento alle autostrade, è stabilito che ogni fabbricato o gruppo di fabbricati costituente ciascuna stazione, sia accertato come unità immobiliare, anche se comprende alloggi, dormitori, rivendite e magazzini.

6. Di fatto si deve rimarcare come, fino alla prima metà del secolo XX, negli apparati di stazione le porzioni di immobili destinate alle attività non strettamente connesse al trasporto (come bar, rivendite e similari) costituivano in genere fattispecie marginali o comunque scarsamente frequenti e per di più i diritti reali in capo ai suddetti immobili erano di norma riconducibili allo Stato. In tale particolare contesto, dunque, ai fini del classamento, era stata attribuita maggiore rilevanza ai requisiti di “destinazione prevalente” e di “localizzazione” rispetto a quelli di autonoma utilizzabilità e redditività, nonché ai criteri oggettivi, quali la destinazione e le altre caratteristiche fisiche, di ogni “cespite indipendente”.

7. Nel periodo intercorso dall’epoca di formazione del Nuovo Catasto Edilizio Urbano all’attualità, come già precisato in premessa, sono intervenuti profondi mutamenti di natura oggettiva e soggettiva nella peculiare tipologia del patrimonio immobiliare in parola. In particolare, per le più rilevanti infrastrutture relative ai trasporti pubblici, si è assistito ad un progressivo e radicale processo di parcellizzazione delle attività con cessione a soggetti terzi di rami di attività collaterali a quello istituzionale, con una crescente attenzione all’utilità produttiva anche nella gestione dei servizi pubblici.

8. Detti fenomeni hanno, di fatto, mutato il quadro di riferimento, rendendo quindi necessaria una complessiva rivisitazione dei criteri di individuazione dei beni riconducibili nella nozione di unità immobiliare, sia essa stazione per trasporti terrestri, marittima, aeroportuale o portuale, ovvero di diversa destinazione funzionale.

9. Al riguardo, si ritiene che il citato criterio localizzativo necessiti di una rilettura che superi la nozione geografica di “recinto” e tenga conto della nuova realtà ed in particolare della destinazione funzionale e delle caratteristiche proprie di ciascuna unità immobiliare, in conformità a quanto stabilito dalla normativa catastale.

10. Più precisamente si ritiene che siano da ricomprendere nell’unità immobiliare- stazione esclusivamente gli immobili o loro porzioni strumentali all’attività del trasporto, vale a dire solo quegli immobili utilizzati a titolo esclusivo dal soggetto giuridico erogante il servizio pubblico per l’esercizio della propria specifica attività.

11. L’insieme degli immobili afferenti alla stazione, nel senso sopra precisato, non può pertanto essere riferito ad un luogo fisico continuo, ma ad un contesto astratto definito da relazioni strettamente funzionali. Il criterio localizzativo, cioè, non può costituire il parametro di riferimento essenziale, allorché nell’ambito del “recinto stazione” siano individuabili costruzio- ni o loro porzioni destinate ad attività, per così dire “non istituzionali”, in quanto non strettamente correlabili al trasporto.

12. Di conseguenza gli eventuali esercizi commerciali, immobili a destinazione ricettiva od altro, pur ricompresi nel recinto di una stazione od aeroporto (ad es. dutyfree, centri commerciali, dormitori, ostelli, depositi per le merci, bar, ristoranti, ecc.) devono essere censiti sulla base delle loro caratteristiche intrinseche derivanti dalla loro destinazione oggettiva e reale e non possono essere inglobati nell’infrastruttura utilizzata per trasporto pubblico, avente classamento nella categoria E/1.

13. Quanto precisato per le infrastrutture dei trasporti pubblici è chiaramente estensibile, analogicamente, a tutte le altre categorie caratterizzate da similari articolazioni funzionali.

14. Sull’argomento si segnala – fra l’altro – il recente orientamento della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 15863 del 28.7.2005, riguardante il classamento di unità immobiliari site in un’area portuale, ha statuito che ” … tutti i manufatti non adibiti a funzioni tipiche di una stazione portuale, ma destinati ad ordinarie utilizzazioni, non potevano essere collocati … nella categoria E solo perché ubicati nella zona portuale”.

3. IL CLASSAMENTO: PROFILI GENERALI

1. E' d'obbligo innanzitutto sottolineare l'importanza di un corretto esame preliminare delle caratteristiche degli immobili in questione, finalizzato, da un lato, a verificare l’assenza dei requisiti per l'attribuzione di una delle categorie dei gruppi ordinari e, dall'altro, ad attribuire la categoria speciale o particolare più rispondente alle caratteristiche oggettive dell’immobile.

2. A tale scopo rileva prioritariamente la loro destinazione funzionale e produttiva; a parità di destinazione, si dovrà poi tenere conto delle specifiche caratteristiche tipologiche, costruttive e dimensionali, che differenziano gli immobili in esame dalle unità tipo o di riferimento8, rappresentative dei corrispondenti immobili di categoria ordinaria. 8 Cfr. art. 11, comma 1, del decreto legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito con legge 13 maggio 1988, n. 154.

3. Sul piano operativo è comunque da osservare come, se per molte tipologie il carattere, speciale o particolare, è di semplice individuazione, in quanto è strettamente legato alla destinazione, per molte altre ciò non avviene, poichè la “caratteristica destinazione” non è sufficiente per determinare l’ordinarietà o meno dell’unità immobiliare. Ad esempio, è noto come i depositi ed i laboratori possono essere qualificati in categoria C/2 (depositi) e C/3 (laboratori artigianali), oppure nelle categorie D/1 (opifici), D/7 (fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale) e D/8 (fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale). In questi casi, la scelta della categoria più rispondente alle caratteristiche dell’immobile dipende, evidentemente, anche dalle altre caratteristiche sopra menzionate, nonché dalla loro diversa localizzazione (centro urbano, zona industriale o commerciale appositamente attrezzata). Ma proprio la corretta valutazione di queste ultime caratteristiche – momento fondamentale del processo di classamento e di attribuzione della rendita catastale – può presentare aree di incertezze e criticità, come è dimostrato dal significativo contenzioso catastale connesso a tali specifici profili.

3.1. L’individuazione della categoria 1. Di seguito vengono esplicitati alcuni principi e criteri connessi all’individuazione della categoria catastale.

3.1.1 Riferimenti al principio dell’ordinarietà

1. Al fine di pervenire ad un corretto classamento è rilevante richiamare l’attenzione sul significato che il legislatore – con riferimento all’articolazione del quadro di qualificazione e più in generale al sistema tecnico-estimale del catasto fabbricati – ha attribuito rispettivamente alle locuzioni “categoria speciale o particolare” e “categoria ordinaria”.

2. Dette locuzioni, peraltro di usuale utilizzo e di chiara accezione nella disciplina estimativa, assumono una più marcata connotazione nell’ambito dei procedimenti di stima massivi, come quello catastale.

3. In tale contesto, l'aggettivo "ordinario" assume il significato di “normale”, “frequente”, “diffuso”, nel senso che una determinata tipologia di unità immobiliare risponde a tale requisito quando è diffusa in una certa zona censuaria, talché è possibile definire un campione significativo di unità di riferimento e confronto, relativamente alle quali effettuare la stima per comparazione dell’intero segmento funzionale analizzato, attraverso il cosiddetto sistema catastale per classi e tariffe.

4. Di contro, gli aggettivi "speciale" e "particolare" hanno un significato, per certi versi, opposto a quello di "ordinario" e qualificano immobili “costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale, e non suscettibili di una destinazione diversa senza radicali trasformazioni”, nonché “immobili, che per la singolarità delle loro caratteristiche, non sono raggruppabili in classi” omogenee. In questi casi, come è noto, la singolarità o comunque la scarsa diffusione di una determinata tipologia immobiliare nell'ambito della zona censuaria, rende impraticabile la suddetta metodologia di stima sintetico-comparativa e quindi necessaria la stima pun- tuale della medesima unità, spesso attraverso il ricorso a procedimenti estimativi indiretti, quali il costo di riproduzione deprezzato del bene, ovvero la capitalizzazione dei redditi immobiliari ordinari dallo stesso prodotti.

5. Sul piano generale, quindi, è del tutto coerente con quanto rappresentato l’individuazione a livello locale di elementi di soglia discriminanti, con riferimento particolare a parametri oggettivi quale quello dimensionale, che giustifichino l’inserimento in una delle categorie ordinarie, ovvero in una di quelle speciali o particolari. Ma dette soglie, laddove di fatto rilevate o rilevabili a livello locale, attraverso una dettagliata analisi del patrimonio immobiliare, devono rappresentare significativi elementi di discontinuità e di frontiera fra le unità ordinarie e le rimanenti tipologie.

3.1.2 Considerazioni circa il criterio connesso al cosiddetto “fine di lucro”

1. Oltre al richiamato principio di ordinarietà, un ulteriore fattore discriminante, come sottolineato in precedenza, è costituito dalla specifica finalizzazione dell’immobile ad “attività industriale o commerciale”, prevista dall’art. 8 del Regolamento, approvato con DPR 1° dicembre 1949, n. 1142.

2. Peraltro, già in precedenza il RDL 13 aprile 1939, n. 652, istitutivo del catasto edilizio urbano, aveva già previsto che gli opifici, i fabbricati di cui all’art. 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, destinati a teatri, cinematografi ed alberghi, nonché più in generale i fabbricati costruiti per speciali esigenze di una specifica attività industriale o commerciale (grandi magazzini, banche, stabilimenti di bagni, ecc.) costituissero un distinto gruppo di categorie, da denunciare ed accertare con specifiche modalità rispetto al patrimonio immobiliare “ordinario” (cfr., per quanto attiene i profili interpretativi, la relativa circolare esplicativa della Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali n. 40 del 20 aprile 1939).

3. Al riguardo è da osservare come il quadro generale delle categorie - pubblicato nel 1942 in allegato alle Istruzioni II e IV della Direzione Generale del Catasto e dei SS.TT.EE - non appare rigorosamente in linea con le previsioni normative dal momento che introduce, per alcune categorie dei gruppi B, C, e D, il concetto del “fine di lucro”.

 

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